Autobiografia di uno Sconosciuto
Di
Francesco
Una Ragione Sociale
Buongiorno e piacere,
Mi chiamo Francesco, come tanti in Italia (è il nome più diffuso!) e come il Papa. Ritengo che sia il più bel nome che esista – su questo converrà ogni mio omonimo. Anonimo forse, almeno se non è seguito da un “Totti” o da un “Petrarca”, o se non preceduto – come sopra – da un “Papa”. Però, posso dire di avere un bellissimo attributo condiviso da tantissime persone. Anche “Francesca” non è male, ma preferisco “Rebecca”.
Non ho una moglie che si chiama Rebecca, né una figlia, una fidanzata o un’amica nonostante mi piacerebbe. Accadrà prima o poi? In effetti sono giovane, anche se a volte mi sembra il contrario, mi sembra che il tempo mi sfugga e che gli anni passino più veloci della noia.
Ho trentaquattro anni, nessun amico e nessuna amica. A volte mi sento solo, altre solitario (lo dice Al Pacino in un film… o De Niro?). Infatti, sono qui a scrivere di me stesso, in mia sola compagnia, chiedendomi perché lo stia facendo… in effetti, potrei dedicarmi a qualche mio hobby o scrollare la bacheca di Facebook, perché no… potrei andare da uno psicologo o una psicologa, ma il Pubblico non offre il servizio di mutuo aiuto.
Certo non posso farlo con qualche amicizia!
Beh, allora, perché lo faccio?
Lo so!
Per darmi una ragione,
Una Ragione Sociale.
Credo Di Essere?
Chi mi credo di essere? Non me lo sono mai chiesto, perché farlo? Però sembra un’ottima domanda che questa autobiografia mi pone. Ci penso… ecco la risposta: qualcuno. Ma esattamente, chi? Ecco, non m’importa. “Ha Tutte le Carte in Regola” s’intitola una canzone di Piero Ciampi che mi è sempre piaciuta, me la fece conoscere mio padre, che mi ha trasmetto la passione per la musica – parlerò successivamente di questo, cioè, sia di mio padre, sia della musica.
Però il brano parla di un artista… ma cos’è un artista? Non mi sento mica un artista! E non lo sono. Credo però che molte persone che vestono i panni di questa nomenclatura e vengono definiti, nonché riconosciuti come tali, nulla abbiano a che fare con l’arte. Ma cosa sia l’arte non lo so. So cosa non è. “Il bello è ciò che piace”? O “È negli occhi di chi guarda!”. E se ad una persona non piace alcunché? Oppure se una persona è cieca (o sorda) e non può vederlo?
È vero, ho sempre suddiviso tutte le cose tra “belle” e “brutte”. Ma non mi sono mai permesso di credere che siano universalmente tali. E poi, dipende dall’umore.
Tornando all’arte, il prodotto artistico penso che deva essere bello per definizione, piuttosto che per condizione – sociale. Insomma, non può essere un’opinione. Che poi noi esseri umani abbiamo la capacità di riconoscerlo è in dubbio e non indubbio.
Né bello né brutto. O quello o tutto.
Nulla di più, nulla di meno.
Non mi ha notato nessuno?
Credo di essere qualcuno.
Critiche
Ah! “Nessuno mi può Giudicare” se nessuno mi nota, no?
Invece sì: si giudica la massa di sconosciuti come me. Mi sento giudicato, infatti. Anche da chi si chiama Francesco. Qualche polemica qua e là, anche tanta promiscuità, ma sulla critica: “chi va là!”
La critica è uno stato di polizia morale (non etico, ma qui si aprirebbe un acceso dibattito critico).
Infatti, sono qui a scrivere di me proprio alla luce del fatto che so di avere potere (quello sostantivato) di criticare. Sono solo “qualcuno” per me stesso, per molti “nessuno” per tutti, come dicevo, e per quei “qualcuno per tutti” che sentenziano per noi “nessuno per nessuno”, prevale la (ragion) critica di mettere in dubbio le posizioni tout-court e aprioristiche del potentato della egregia supremazia di una finta borghesia, dell’inganno dell’aporofobia. In fin dei conti, poco mi importa avere il potere di criticare, anzi, poco mi importa di potere e così del potere!
No niente, volevo solo criticare le critiche che critico.
Una casa fredda e buia
Vivo da solo (ovviamente) in zona stazione centrale in affitto, circondato da palazzi che oscurano il sole.
Devo risparmiare sul riscaldamento, ma anche riuscissi a pagare le bollette più salate possibili, i muri sono freddi rendendo così il piccolo appartamento un frigorifero. Inoltre, le finestre non sono ancora a “doppio vetro”, non posso permettermi di cambiarle, così di inverno non mi rimane che rifugiarmi sotto al piumone, da quando non ho più un lavoro. In effetti non ho mai avuto un vero e proprio lavoro… ecco perché non posso concedermi di meglio.
Sempre che non apprezzi comunque
Una casa fredda e buia.
Preoccupazione
Si sa, la burocrazia italiana è complicata. Non ho mai capito se per motivazioni “di qualità” o “di quantità”, ma una cosa è certa: non funziona.
Quindi, ancora non ho capito se per legge risulto come “inoccupato” o come “disoccupato”. Credo la prima, altrimenti potrei richiedere alcuni sussidi dall’INPS, ma non mi è dato saperlo, dal momento in cui non ci ho mai provato.
La mattina vado al bar qua sotto casa, scambio qualche chiacchiera con concittadini attempati che, non ho mai capito perché, qualsiasi cosa accada hanno sempre da recriminare il governo italiano, anche se l’accadimento riguarda l’estero, ma la cosa che non ho mai capito è che la parola d’ordine sembra essere “ladri!”, rigorosamente esclamato, anche perché piove – e dico io, cosa c’entra?
Però non mi importa, è bello sentire il dialetto, non capire queste persone brontolare, commentando le notizie di cronaca, ma soprattutto parlare di sport e del Bologna. Alle volte capita una partita a carte.
Tra un passante e l’altro, si rimane la mattina ad occupare i tavolini del bar.
Sono pensionati. Giustamente, lo ricordano almeno con una cadenza tra i cinque e o dieci minuti. Lo apprezzo, ho sempre visto con ammirazione i lavoratori coloro che “ho lavorato in fabbrica per quarant’anni!” dicono loro.
Come dicevo, i tavolini del bar sono la loro occupazione.
Ricordo ai tempo del liceo… pensavo che “occupazione” non significasse avere un lavoro, bensì appropriarsi degli spazi per fare finta di chiedere diritti non meglio precisati come scusa per divertirsi in compagnia.
Ma credo di avere imparato qualcosa. Non occupazione:
È Il lavoro,
La mia preoccupazione.
L’appuntamento
Il futuro non è presente.
L’ho imparato nel corso del mio passato. I miei ricordi sono annebbiati dalla solitudine. Ma solitario, ricordo di un’infanzia felice. In effetti, come può un bambino non essere tale? È l’innocenza che rende l’uomo (o la donna!) così felice.
Ma ho sempre pensato… perché non dovremmo essere tutti innocenti? Non fino a prova contraria. Intendo proprio a priori. L’unica vera colpa che abbiamo è proprio quella di essere umani, o meglio, di essere semplicemente animali. Qualsiasi cosa accada, anche la più brutta, è comunque responsabilità di un mammifero. Mi piacciono i documentari della BBC.
Una volta avevo una ragazza. Fu la prima vera relazione ed unico vero amore.
Ci conoscemmo dopo una rissa. Anzi, durante… a volte sono ingenuo, e quella sera di sette anni fa, in un torrido luglio, fui aggredito per avere fatto troppe domande alle persone sbagliate. Mentre venivo preso a calci e a pugni, arrivò lei, Beatrice, vidi una luce angelica. Tutto si fermò, insieme al tempo. L’angelo mi prese per mano e fece strada verso quello che sarebbe stato il mio futuro, ciò che sarebbe stato amore.
Mi portò a casa. La ospitai e facemmo l’amore.
La mattina seguente non era più nel mio letto… ma trovai un bigliettino:
“Buongiorno Francesco! Troverai una brioche che ho preso al bar qui sotto, quello pieno di vecchi brontoloni, e la moka fatta. Sono dovuta scappare, ma sei tanto dolce mentre dormi. Sembri un bambino, sai? È stato bello fare l’amore con te, nonostante i gin tonic. Ho un appuntamento con il passato, ma vorrei poterti conoscere meglio, perciò vorrei accettassi un appuntamento con il futuro.
Questo è il mio numero, sono libera mercoledì pomeriggio, in via Garibaldi c’è un locale carino in cui fanno del buon the iraniano, mi troverai lì alle 17:00. Se sarai presente, sarò presente.
Poiché il futuro non è mai presente,
All’appuntamento”.
La nonna che mi ha cresciuto
Ho un fratello, ha due anni in più di me. Avevamo quattro nonni, come tutte le persone con due genitori d’altronde. In realtà sono nato che il mio nonno paterno era già morto, seguito a breve dal nonno materno, di cui ho pochi ricordi: il nonno Elia, campano, della provincia di Avellino, in Irpinia, imprenditore comunista di un piccolo borgo poco distante da Salerno. Non mi hanno mai parlato bene di lui. O meglio, ogni volta che qualche parente tesseva lodi su di lui, non solo storcevo il naso, ma proprio non gradivo quel tipo di persona. Trattava male sua moglie, per esempio. E sua moglie è mia nonna. E insieme i genitori di mia madre e delle mie tre zie ed uno zio. Le conseguenze infatti sono lampanti, una famiglia scellerata, di donne matte e malate. Probabilmente è una questione genetica e familiare: mia nonna materna dacché la conoscevo aveva l’alzheimer, col tempo sempre più grave e cronico col passare degli anni. Ma indovinate chi se ne prendeva cura? Proprio io. Era abbandonata a se stessa in una casa di cura. L’andavo a trovare spesso, fino ai miei tredici anni, quando morì. E non me ne importò tanto.
Pochi anni prima, nel settembre del 2002, morì la nonna Maria, quando avevo 8 anni, ero in quarta elementare. Fu un vero lutto. Forse un lutto che non ho mai superato.
Era la persona che si prese cura di noi, di me e di mio fratello. Era la persona che ci salvava da un mondo di assenze e vicissitudini, destinate poi a presentarsi successivamente. Ma ci aveva preparato. Anche se non ci aveva allattato, fu lei ad averci svezzati, educato, cresciuto. Fu lei ad insegnarmi la vita, l’umiltà, il sacrificio.
Fu la nonna Giorgina
La nonna che mi ha cresciuto.
Essere umani. E questo è quanto
Noi sconosciuti avremmo tanto da raccontare. Ciascuno la sua storia, di avventure e vicissitudini. Chi logorato dall’invidia, chi combattuto tra il bene e il male, chi si domanda cosa siano l’invidia, il bene e il male, chi non sa e non vuole sapere. E combatte tutti i giorni per una sola cosa: vivere.
C’è chi è logorato dalla fama e chi invece si trova logorato dalla fame. Chi dalla fame del potere, altri per cui volere è potere. E a volte non si può. Non si può raccontare dei soprusi, delle emozioni, delle malattie, della ragion di vivere e di essere. Perché uno sconosciuto quando muore smette di essere. Ma nonostante noi sconosciuti siamo nascosti, esistiamo. Scompariremo. Ma abbiamo tutti una cosa in comune: vivere è essere.
Essere umani.
E questo è quanto.
“Ho amato tanto due donne”.
Dov’è, nella mia testa, quando piango?